LA TRATTA DEI BAMBINI CALCIATORI

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“LO PORTERO’ IN ITALIA E DIVENTERA’ UN CAMPIONE”
Continuano a schiantarsi le falene, nella luce del fuoco. Il miraggio di poter lasciare da un giorno all’altro il loro deserto di povertà, appare a tanti ragazzini africani e sudamericani sotto forma di un contratto con una società calcistica europea. Una scorciatoia per uscire dall’anonimato e dalla propria misera condizione che effettivamente sembra destinata all’immutabilità.
Alcuni mercenari senza scrupoli  propongono alle famiglie dei baby-calciatori il rimborso del viaggio e un futuro radioso per il loro figlio, e a quel punto, nella maggior parte dei casi senza bisogno di preoccuparsi dei documenti, i genitori cedono volontariamente il bambino fidandosi di tutto ciò che la bocca dell’uomo bianco promette.
Il traffico di giovani giocatori, merce a buon mercato nel rapporto qualità/prezzo, è un fenomeno più diffuso di quanto si pensi. Vogliono diventare come Kakà. E gli agenti fanno leva proprio su questo desiderio e dopo averti lusingato promettendoti ori e onori improvvisamente ti voltano le spalle lasciandoti in mezzo alla strada, solo.
Se non sei quell’1 su 20000 che diventerà un grande campione, ti ritrovi in un paese straniero, senza sapere dove andare. Lui ha perso poco, tu hai perso tutto, o meglio la fiducia in te stesso, ti senti un fallito. Ti avevano fatto credere che avresti cambiato vita. E di chi è la colpa? E’ nostra. Della nostra stessa società. Che continua ancora a raccontarsi la favola del “ma io che c’entro?”. Che pone sul piedistallo il calciatore. Lì si trova quella bellezza che luccica. Per questo solo quando saremo capaci di un’altra bellezza potremo fare a meno di quella che offrono il denaro e la fama. Sarà una qualche, diversa, bellezza, più accecante e infinitamente più mite.

ANCHE LE GRANDI SQUADRE COINVOLTE NELLA TRATTA

Da quando il calcio è diventato un’industria, una macchina per fare soldi, si è scatenata la corsa alla ricerca del campione. Si è aperta la stagione della caccia ai giovani talenti, soprattutto in Africa e Sudamerica.
Esistono organizzazioni, sottomarche naturalmente non ufficiali, finanziate dalle grandi squadre di calcio. Sono coinvolti l’Italia, la Francia, l’Inghilterra, la Spagna, l’Olanda e tutti quei paesi dove esista un fiorente mercato calcistico.
Le organizzazioni  utilizzano dei “ganci” locali: venditori di auto usate, pentole, di frigoriferi e detersivi vanno in giro per i villaggi più sperduti per i loro traffici e già che ci stanno tengono d’occhio i ragazzini di 12, 13, 14 anni che giocano a pallone in mezzo alle strade; quando ne individuano uno particolarmente bravo lo segnalano a chi di dovere.
A questo punto l’europeo arriva sul posto e non deve faticare molto a convincere il padre e la madre a lasciar partire con lui un loro figlio: si tratta di famiglie poverissime e molto numerose. I bambini sfoggiano già le maglie dei loro idoli del Real Madrid o del Milan. “Lo porto in Italia e diventerà un campione”. E’ comprensibile come la partenza di uno di loro diventi un evento, una festa per tutto il villaggio: i soldi che uno solo guadagnerebbe con il calcio potrebbero sfamare parecchie bocche, dal momento che è prassi che chiunque trovi qualcosa lo metta in comune.
La suddivisione avviene a seconda del bisogno, di solito prima si distribuisce ai bambini e agli anziani.

Un’altra, diversa bellezza

La bellezza che a tratti si intravede, nel lavoro paziente di chi ha capito che è nei paesi di origine di quei ragazzi che il calcio può cambiare la loro vita: alcune grandi società europee portano avanti progetti sportivo-sociali rivolti a bambini di paesi poveri. Un esempio è il lavoro di Inter Campus, che dal 1997 realizza un programma flessibile di intervento sociale e cooperazione a lungo termine in 19 nazioni nel mondo con il supporto di 200 operatori locali e utilizza il calcio come strumento educativo, per restituire a 10000 bambini tra gli 8 e i 14 anni il diritto al gioco.
Per quanto riguarda il continente africano, dopo il Camerun, il Marocco e l’Uganda, nel 2008 è partito un progetto Intercampus anche in Angola, nelle cittadine di Viana e Dondo e nel quartiere Lixeira, “l’immondezzaio” della capitale Luanda. Lì la gente vive dentro baracche costruite con rifiuti di ogni genere. Non hanno acqua, né fogne. La città è cresciuta a dismisura per l’affluenza di milioni di profughi in fuga dalla guerra civile.
A Lixeira, integrandosi con le iniziative educative e sociali dell’Associazione Lumbe Lumbe di Roma e i missionari salesiani già attivi da anni sul territorio, si è innestata l’attività degli alleducatori: allenatori che seguono i ragazzi anche a scuola. Si gioca a pallone se prima si fanno i compiti. Nelle strade di qualunque parte del mondo in cui Intercalcio è intervenuta si trovavano bambini che giocavano a calcio seppure senza scarpe e con palloni fatti di stracci, ed erano già preparatissimi sui calciatori famosi, conosciuti tramite la partita trasmessa dall’unico televisore del circondario.

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di Paolo Bianchini

Stazione di Milano. Un ragazzino africano viene trovato addormentato in una cabina del telefono. Non sa dire da dove viene.
I bambini che non esistono, di cui nessuno ha registrato la nascita, sono i più ambiti; semplicemente non risulta che siano mai esistiti. Ci sono troppi interessi dietro al calcio, per questo nessuno ne parla. Anche se grossi club hanno dei processi in atto, i giornali, come la televisione non si azzardano. Ottenere l’esclusiva per trasmettere una partita importante è una lotta all’ultimo sangue tra le emittenti; si tratta degli spazi pubblicitari più cari in assoluto.
Portato in Italia con la prospettiva di diventare un calciatore, quel bambino per quasi un mese aveva dormito in un capannone allenandosi con una giovanile, ma dato che non ingrassava la squadra l’aveva rifiutato; l’avevano portato alla stazione per andare a Roma dove, gli avevano detto, avrebbe sostenuto un provino. Vado al bagno, tu aspettami qui. Passa una settimana e nessuno era tornato a prenderlo. Alla domanda Come si chiama il tuo villaggio? Il bambino risponde non lo so. Accade così che la polizia si rivolge a una parrocchia vicino alla stazione che affida il piccolo ad un allenatore aretino, che lo prende in casa come un figlio e lo fa allenare nella sua squadra. Quando però il ragazzino capisce che come calciatore non ha futuro, un giorno lascia un biglietto con scritto “grazie”  e sparisce nel nulla.
Il suo destino è quello di tanti, e nessuno reclamerà la loro scomparsa. Si perdono nel nulla, ingaggiati stavolta per furti o spaccio di droga, da chi li adocchia per primo tra i criminali.
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