Intervista a Maria Grazia Cucinotta

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“Sono una grande fan di monsignor Paglia ed è stato  stato lui a farmi riavvicinare alla Chiesa, dopo un periodo di lontananza. E’ un uomo che ammiro e ascolto, perché al di là di tutto è una persona vera, capace di raccontarti che cos’è il mondo”.

Da due anni è la madrina ufficiale del festival “Cielo e Terra”, Maria Grazia Cucinotta. Della kermesse cinematografica ideata dal vescovo Paglia, l’attrice siciliana ha inaugurato anche la terza edizione con una cerimonia al cinema Fiamma a cui hanno partecipato oltre 500 persone e che l’ha vista affiancata da Giorgio Raspa, presidente dell’Unione buddhista italiana e – ovviamente – da monsignor Vincenzo Paglia, amico ormai di vecchia data dell’attrice lanciata dal Postino, che non si è mai tirata indietro di fronte ad un invito del vescovo di Terni.
“Monsignor Paglia – racconta – è un prete straordinario. Lui non giudica nessuno ma ti porta a credere nelle cose vere; e l’unica cosa vera è l’amore”.
Come vi siete conosciuti?
“Per caso, ma è stato così carismatico e sincero che ho voluto fosse lui a battezzare mia figlia, ed  è nata un’amicizia indistruttibile. Mi ha fatto particolarmente piacere essere invitata a questa manifestazione, che dovremmo portare in giro per l’Italia. Per una volta la Chiesa non giudica il cinema ma se ne fa portavoce. È una cosa molto importante e rara, perché spesso la Chiesa preferisce giudicare il cinema anziché capire che è uno dei mezzi più importanti che può davvero aiutare a capire determinati valori”.

Quale è stato il suo rapporto con la religione?

“Sono sempre stata molto credente; sono cresciuta in un luogo dove  non c’era niente, ma c’era una chiesa e questo mi ha aiutato moltissimo. Era una chiesetta piccolissima, che però ci ha tolto dalla strada e portato sulla retta via. Poi, però, c’è stato un momento nel quale – forse perché ho incontrato le persone sbagliate – mi sono allontanata”.

Gli uomini di chiesa, dunque, hanno una grande responsabilità.

“Sì, possono avvicinarti o allontanarti dalla religione. Uno come monsignor Paglia avvicina tutti, perché non è un prete che punta il dito e giudica, ma una persona che ti ascolta. Accetta le diversità dei pensieri, non ti impone le sue idee facendoti scappare. Ti attrae con la semplicità e la positività; è una persona trasparente, che ti fa vedere la vita da un punto di vista diverso dal tuo senza pretendere di cambiarti. Ti fa capire che tutti siamo diversi e tutti siamo accettati nell’amore”.

Oltre che al vescovo, lei è molto legata anche a questo territorio.

“Qui mi sono sposata, qui è nata mia figlia. Amo l’Umbria e amo San Gemini, che rappresenta uno dei momenti più belli della mia vita”.

Al festival “Cielo e terra” ha presentato All the invisibile children, un film collettivo che ha l’obiettivo di raccogliere fondi per l’Unicef. Come è nato questo progetto?

“E’ nato dalla volontà di dare la voce a chi non ha la possibilità di parlare, ma anche dal mio impegno come attrice e al contempo ambasciatrice dell’Unicef”.

Come ha scoperto la realtà dei “bambini invisibili”?

“Non l’ho scoperta; ho vissuto sulla mia pelle l’incuranza e la non attenzione, perché sono cresciuta anche io in una terra di ‘bambini invisibili’. Ed è terribile crescere così, sentendo ogni momento che ti manca l’aria. Vorresti urlare ma non hai voce. La verità è che il mondo si divide in cittadini di serie A e cittadini di  serie B; ma se tu nasci nella serie B non significa che devi morirci. Puoi cambiare la tua condizione, se trovi qualcuno che ti permette di farlo”.

Questi bambini invisibili, dunque, sono in tutto il mondo.

“La cosa che li accomuna è che in qualsiasi parte del mondo sono più felici i bambini che non hanno nulla piuttosto che i bambini invisibili delle grandi città. Vivono felici anche solo se hanno da mangiare tutti i giorni; non hanno bisogno del videogame, della televisione o del vestito firmato. Vivono in una felicità interiore molto migliore di quelli delle nostre grandi città, e questo perché non sentono la diversità rispetto ai bambini ricchi, che è la cosa che fa più male”.

Ha già nuovi progetti con l’Unicef?

“Assolutamente. Adesso sto per partire con il World Food Program per un viaggio in India, dove questo progetto dell’Onu sta applicando un programma di scuola cibo, con cui si cerca di portare i bambini a scuola; perché i bambini non vanno solo sfamati, ma anche educati perché possano diventare uomini liberi”.

Quando e come è nato il suo impegno nell’Onu?

“L’incarico di ambasciatrice dell’Unicef ce l’ho ormai da quasi quattro anni e mi fa piacere perché le Nazioni Unite mi danno la possibilità di andare in tutto il mondo e attuare determinati aiuti. Io poi giro anche da sola perché con alcuni amici abbiamo aperto un asilo in Botswana  che si chiama “Il mosaico africano”, ed è una scuola-ospedale che accoglie i bambini orfani figli di malati di Aids. Alcuni vengono salvati e riescono a fare una vita decente, anche se malati, perché possono studiare ad essere alimentati e curati, uscendo dalla  propria condizione. Collaboro anche con una casa famiglia in Bielorussia, che accoglie bambini dai 7 ai 10 anni per i quali, l’unica alternativa sarebbe il manicomio”.

Ha lavorato a stretto contatto con i missionari?

“Certo, ho conosciuto persone meravigliose che dedicano la vita intera a questa missione. Il mio, invece, è un ruolo diverso, perché non mi fermo mai più di una settimana in un posto. Anche perché ho una famiglia: non avrebbe senso aiutare i bambini degli altri e lasciare sola la mia. Cerco poi di far conoscere determinati impegni, far sapere anche dove vanno a finire esattamente i soldi, per far superare la diffidenza”.

All the invisibile children avrà un seguito?

“Sì, sto per realizzare un nuovo film, che spero di presentare alla prossima edizione del festival Cielo e Terra. Questa volta, però, produrrò una favola; perché anche attraverso le favole si riesce a realizzare il sogno di tanti bambini”.

(da Il Giornale dell’Umbria del 14 novembre 2007)
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